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Annecy e “I Misteri di Parigi”

[Suggerimento musicale per la lettura: Ludovico Einaudi_Primavera]

 

“[…] siffatte taverne, frequentate dalla feccia della popolazione parigina,
dove vi abbondano una schiuma di forzati usciti dal bagno, truffatori, ladri, barattieri.
Appena è stato commesso un delitto,
la polizia getta (se questo si può dire) una rete in quel fango,
e quasi sempre vi coglie i colpevoli.” 
 I misteri di Parigi

 

Ci deve essere una corrispondenza tra i luoghi e le persone. Gli uni influenzano gli altri, e viceversa. Non foss’altro per un atteggiamento o un’inclinazione, se non un’indole.
L’individuo, ogni individuo, è il risultato finale di una serie di concause. Ecco, tra queste io considero grandemente influente il luogo.

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Lago di Annecy

Che sia una giungla incontaminata o di cemento, un periferico entroterra campestre o il centro del cuore industrializzato dove batte la vita mondana, ogni luogo influenza gli umori e i pensieri di chi lo abita.

Questo è specialmente vero per gli artisti, o per tutti coloro i quali siano dotati di quel tipo di sensibilità fine che capta gli echi di influenze sottili.

Quando vado in una città nuova, mi chiedo sempre: chi ha vissuto, qui? Anzi, meglio: quale scrittore noto ha vissuto qui? Cosa ha scritto? Quando?

E mi ritrovo a indagare sul come e sul cosa deve averlo influenzato di quel luogo, e perché.

Sono stata ad Annecy, e ho scoperto che in questa piccola e ridente cittadina ha vissuto, oltre che Rousseau (per un breve periodo, ma di lui parlerò in un altro post), quello che è considerato un grandissimo scrittore: Eugène Sue.

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Parliamo della prima metà dell’Ottocento.  Altri tempi, altre sensibilità. Altro stile di scrittura, forse indigesta per molta parte dei miei contemporanei, ma sicuramente degna di attenzione.
Ricco parigino, gran viveur e donnaiolo, dilapidò la sua eredità entro i primi trent’anni della sua vita, e trascorse il resto a scrivere per poter campare.

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Tra i suoi romanzi più noti, L’Ebreo errante e I misteri di Parigi, pubblicato a puntate su un famoso quotidiano francese.
Il secondo, soprattutto, fu un incredibile successo editoriale.
Venne tradotto in molte lingue ancor prima di essere terminato.
Marx ammise di averlo non solo letto ma anche molto amato e Gramsci lo citò più volte nei suoi Quaderni del Carcere.
Fu durante la stesura di questo lavoro (copioso) che Sue si convertì al socialismo, per questo forse ciò che ne risultò fu una narrazione di critica sociale.
Ammetto candidamente di non averlo mai letto, ma per qualche singolare motivo salta sempre fuori nelle mie letture.
Devo assolutamente colmare questa lacuna, prima o poi.
So che è una mole di parole enorme, con numerosi personaggi e con eventi concatenati mai monotoni o banali, che si intrecciano nei bassifondi parigini.
Capostipite di quello che viene chiamato “romanzo d’appendice”, fu Il romanzo per Victor Hugo, che ne prese ispirazione per il suo I Miserabili e per Alexandre Dumas (padre) che a lui si ispirò per il suo Il conte di Montecristo.

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Da questo primo titolo derivarono tutti gli altri, come I Misteri di Marsiglia di Émile Zola, di Londra di Paul Féval (padre), di Firenzedi Carlo Collodi, di provincia di Honoré de Balzac, eccetera.

Tutti omaggi al primo grande capolavoro di Sue.
Insieme al successo crebbe l’odio di parte degli aristocratici per i suoi lavori di denuncia.

Il suo I misteri del Popolo fu pubblicato ne 1849 a puntate e in abbonamento postale, per sfuggire alla censura. Ma ciò non bastò a far passare il romanzo in sordina: la pubblicazione fu interrotta e il Sant’Uffizio lo mise, ovviamente, all’indice. Dopo molti anni, nel 1857, quando sembrava che potesse essere liberamente pubblicato, tutte le copie furono sequestrare e tipografo ed editore (l’amico di Sue Maurice Lachâtre) furono condannati. Appena pochi mesi prima della morte dello scrittore.

Tornando alla premessa, dunque mi chiedo: come può questo minuscolo paesino aver influenzato questo tipo di espressione artistica?
La risposta è semplice: in nessun modo.
Eugene Sue visse a Parigi, dove nacque, e si rifugiò qui solo nel 1851, quando aveva già terminato tutti i suoi romanzi, in seguito al colpo di Stato di Bonaparte.
Morì sei anni dopo, nel 1857.
Lo immagino passeggiare sulle rive di questo lago calmo, o tra le vie della città vecchia e fermarsi sul ponte da cui si vedono le prigioni.

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Le prigioni

Lo vedo ricordare la burrascosa sequenza delle vicende della sua vita, e riflettere su quella fine silenziosa e solitaria.
Già molto malato, si spense ad Annecy-le-Vieux all’età di cinquantatré anni.
La sua tomba si trova nel cimitero di Loverchy, ma ha iniziato a piovere e non ci sono andata. Peccato.
Adieu, Eugène. Mi avrebbe fatto molto piacere conoscerti, ne sono sicura.
Sarà per un’altra vita.