La Gilda delle Mani Inchiostrate (o degli scrittori)

[Suggerimento musicale per la lettura: Ludovico Einaudi_Divenire]

“Appoggi piede contro piede, scudo a scudo
il cimiero al cimiero, l’elmo all’elmo,
s’accosti, petto contro petto, e lotti col nemico
brandendo l’elsa della spada o l’asta.”
Tirteo, guerriero spartano

 

Ho avuto una intuizione mentre lavavo i pavimenti. Mi accade spesso.
Non di lavare i pavimenti, ma di avere intuizioni nei momenti di fatica fisica, in barba agli asceti e ai mistici puri.
Questa intuizione, dicevo,  è saltata fuori da un ricordo.
Mentre strizzavo lo straccio – chissà se esiste un collegamento – mi è tornata alla mente una bellissima intervista fatta ad Alan Moore[1] , nel dettaglio un piccolo passaggio, quello di quando dice – e lo riporto a parole mie, l’intervista completa la trovate qua – che gli scrittori che ci hanno preceduti formano tutti insieme, travalicando i limiti di spazio e di tempo, una sorta di famiglia, una comunità.

Remember that this tradition is glorious and noble, remember all the men and women who have accomplished things before you. That is the company, that you are hoping to keep
Una gilda, mi permetto di specificare io.

Non è la prima volta che ripenso a questo concetto. Mi è già capitato.
Soprattutto, mi torna in mente ogni volta che mi sento bloccata e il mio caro, vecchio Censore – di cui ho scritto qui – acquisisce forza, a discapito della mia scrittura.
In quei momenti, ripenso a questa “gilda”.
Rifletto sul fatto che in quel preciso istante, in questo preciso istante, ovunque nel mondo – al netto dei fusi orari, ça va sans dire – altre decine, centinaia, ma che dico: migliaia di scrittori sono seduti a una scrivania, a scrivere.
L’immagine mi strappa sempre, sempre, sempre un sorriso.

N. Gaiman scrive spesso a mano con penne stilografiche

N. Gaiman scrive spesso a mano con penne stilografiche

Con gli occhi della mente vedo Neil Gaiman che butta giù con la penna stilografica su uno dei soliti taccuini neri la sua prossima storia.
George R. R. Martin che si dispera davanti a un monitor bianco, lottando contro i suoi dubbi – come lui stesso ha affermato di fare, nonostante i suoi successi, nella parte finale di questo video dove intervista Stephen King. Lo stesso King che digita forsennatamente sulla tastiera del pc al suono della sua amata musica Metal, chiuso nel suo studiolo al secondo piano della sua villa nel Maine. O, senza andare lontano, i miei colleghi conosciuti durante il NaNoWriMoSerena Bianca De MatteisEster Manzini e tanti altri alle prese con una nuova opera.

Tutti insieme, appassionatamente, compresi quelli che non ci sono più: Charles Dickens, Fëdor Dostoevskij, Louisa May Alcott, Jack Kerouac, Umberto Eco, Gabriel García Márquez, Virginia Woolf e ancora e ancora, e tutti quelli di cui, vivi o morti, non conosco il nome, che non hanno mai pubblicato o che scrivono in lingue a me incomprensibili.
Tutti lì, testa bassa, a infilare una parola dietro l’altra. A combattere, come scrive Steven Pressfield nel suo saggio “The War of Art”, come guerrieri questa vera e propria guerra, senza esclusione di colpi.
Una lotta che è insieme con se stessi e con il mondo esterno.
Una guerra contro i pregiudizi, gli errori, la mancanza di tempo, i rimpianti e i rimorsi, la scarsa autostima, le bollette, l’età, le aspettative altrui, il ritiro costante di un lavoro solitario; insomma: l’abisso arcano e doloroso che precede qualsiasi atto creativo, compreso il parto, il più antico, naturale e necessario di tutti.
Una lotta che diventa logorante nella seconda fase della prima stesura che io, mutuando un termine dall’Opera alchemica, chiamo Nigredo – e di cui ho scritto qui.

La scrittura è una questione di autostima.
Dubitare di se stessi, del proprio valore, delle proprie capacità, pensieri, sentimenti, non aiuta di certo l’atto di esprimersi.
A chi interesserà mai quello che ho dentro?
A chi importerà leggere questa storia che è venuta a me in modi inaspettati – e sacri, io credo – e che mi affanno così tanto a rendere leggibile?
Ci vuole molta forza di carattere per trovare la costanza di rimanere seduti, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, alla stessa sedia, nel disperato tentativo di rendere intelligibili le figure confuse che si accavallano senza tregua nel proprio animo.
Per cercare di rendere nella corrotta forma scritta la perfezione delle visioni che si intravedono, come labili barlumi, dentro di noi.

Io non so se scrittori si nasca o si diventi.
Credo che siano possibili entrambi gli scenari.
Alcuni lo sono naturalmente e, nati sotto una buona stella, seguono la corrente sulla quale si trovano scivolando con naturalezza e grazia tra le onde.
Altri decidono di esserlo e, malgrado condizioni avverse, lottano e combattono in mare aperto contro i marosi e le tempeste reggendo saldamente il timone.
Le due situazioni non si escludono nemmeno vicendevolmente e, per alcuni, le cose si intrecciano in forme originali e sempre diverse.
Per quanto possano trattare lo stesso genere, avere la stessa cifra, stile o carattere simili, due scrittori non si assomigliano più di quanto non lo facciano  due fiocchi di neve.
Ognuno ha una storia propria, un percorso, un sogno, un obiettivo differenti.
In qualsiasi quantità siano mescolati questi ingredienti, e nonostante la varietà dei sapori e delle forme, una sola cosa è certa: tutti gli scrittori, indistintamente, hanno creduto, in un modo o nell’altro, nella propria visione, seguendola senza badare al prezzo da pagare, alla fatica, ai conflitti quotidiani o all’eremo volontario di questo lavoro solitario.
Aristotele diceva: “noi siamo quello che facciamo ripetutamente. Perciò l’eccellenza non è un’azione, ma un’abitudine”.
E se uno scrive tutti i giorni, pubblicato o meno, noto o meno, valevole – per la maggiore – o meno, allora è uno scrittore.
Quel qualcuno ha raccolto la sfida e, intrepido, ha inseguito quella visione come un cacciatore che insegue la sua preda dalla quale dipende la sua sopravvivenza.

Perciò mi rivolgo a chiunque legga questo articolo e si riconosca in queste parole, mentre scrolla verso il basso la pagina con le dita sporche di inchiostro, come le mie.
Sei nella mia squadra.
Chiunque tu sia, per qualsiasi ragione tu lo faccia – gioia, disperazione, sfida, necessità, divertimento, rivalsa, vocazione, impeto di follia e chi più ne ha più ne metta – voglio che tu sappia che ti comprendo dal profondo del mio cuore e che, nonostante il silenzio nel quale sei immerso – probabilmente proprio in questo stesso momento – e la solitudine che accompagna questo lavoro, non sei solo, perché io combatto accanto a te.

Tu e io, insieme ai fantasmi di coloro che ci hanno preceduti e a tutti gli altri scrittori viventi su questo meraviglioso e terribile pianeta che, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, combattono questa guerra.

Siamo la Gilda delle Mani Inchiostrate.
E siamo implacabili.

(Leggi la Promessa di una Mano Inchiostrata)

Un giorno imparerò a caricare le mie penne senza sporcarmi. Ma non è questo.

Un giorno imparerò a caricare le mie penne senza sporcarmi. Ma non è questo.

 


[1] : se vi piace Alan Moore, non perdete questa lunghissima e splendida intervista, sottotitolata in italiano

 

 

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